Shelling out: l’origine della moneta
[Traduzione italiana originariamente pubblicata su Bitcoin24ORE]
Abstract
Gli antesignani della moneta, così come la parola, permisero ai primi esseri umani moderni di risolvere problemi di cooperazione che gli altri animali non riuscivano a risolvere (inclusi problemi relativi al reciproco altruismo, all’altruismo parentale e alla mitigazione dell’aggressività). Questi antesignani condividevano, insieme alle valute non fiat, delle caratteristiche ben specifiche: non erano solo oggetti decorativi o simbolici.
Tabella dei contenuti
- Moneta
- Oggetti collezionabili
- Evoluzione, cooperazione e oggetti di valore
- Benefici dello scambio di valore
- Assicurazione contro la fame
- Altruismo parentale oltre la tomba
- Commercio familiare
- Spoglie di guerra
- Dispute e risarcimenti
- Attributi degli oggetti da collezione
- Conclusioni
- Citazioni
- Ringraziamenti
Moneta
Le colonie inglesi in America del XVII secolo ebbero, fin da subito, un problema: la poca disponibilità di denaro.[D94][T01] L’idea degli inglesi era quella di coltivare grandi quantità di tabacco, tagliare legname per la loro flotta militare e commerciale, e così via, inviando in cambio le forniture che ritenevano necessarie per far lavorare gli americani. Si supponeva che i primi coloni lavorassero per la madre patria e allo stesso tempo acquistassero i suoi prodotti. Gli investitori e la Corona preferivano di gran lunga fare così, rispetto al pagare in denaro il lavoro dei coloni e, Dio non voglia, lasciar loro parte degli eventuali profitti generati.
La soluzione, per i coloni, era a portata di mano, ma ci vollero alcuni anni affinché lo potessero capire. I nativi americani avevano moneta, ma era molto diversa dalle monete che gli europei erano abituati a usare. Gli Indiani d’America usavano moneta da millenni, una moneta che si rivelò molto utile anche ai coloni Europei, nonostante il pregiudizio condiviso tra molti che solo il conio metallico con impresso il volto del leader politico fosse vera moneta. Peggio ancora, i nativi, nel New England, non usavano né oro né argento. Usavano, infatti, il denaro più facilmente reperibile nel loro ambiente: le parti più durevoli dello scheletro delle loro prede. In particolare usavano i wampum: gusci di vongola atlantica (o simili) infilati su pendenti a formare collane, monili o cinture.
Le conchiglie potevano essere trovate solo nei pressi dell’oceano ma i wampum erano commerciati in tutto l’entroterra. Monete derivate da conchiglie di diversi tipi erano distribuite in tutte le tribù del continente. Gli Irochesi riuscirono ad accumulare un tesoro di wampum ben superiore a tutte le altre tribù senza mai avventurarsi vicino ai luoghi dove le conchiglie potevano essere raccolte.[D94] Poche erano le tribù specializzate nel produrre i wampum (ad esempio i Narraganset) ma centinaia di tribù, molte delle quali composte da cacciatori-raccoglitori, le utilizzavano. I pendenti wampum avevano lunghezze differenti, con una quantità di perline proporzionata alla lunghezza. I pendenti potevano essere tagliati o uniti a formarne uno più grande, in base al prezzo che si doveva saldare.
Appena i coloni capirono cosa fosse considerato denaro tra i nativi, cominciarono subito a utilizzare e comprare i wampum. Wampum divenne, tra gli americani, un termine gergale per indicare il denaro. Il governatore olandese di New Amsterdam (oggi New York) prese un grosso prestito da una banca angloamericana in wampum. Poco dopo anche le autorità inglesi dovettero adattarsi. Tra il 1637 e il 1661, i wampum divennero moneta a corso legale in New England. I coloni ora avevano un mezzo di scambio molto liquido e i commerci poterono fiorire.[D94]
L’inizio della fine dei wampum arrivò quando gli inglesi iniziarono a importare sempre più monete coniate nelle Americhe e quando gli Europei iniziarono ad applicare le loro tecniche manifatturiere di massa. Nel 1661 le autorità britanniche gettarono la spugna con i coloni e decisero che avrebbero pagato con le monete del regno che, essendo vero oro e argento e il loro conio controllato e marchiato dalla Corona, avevano qualità monetarie migliori delle conchiglie. In quell’anno i wampum smisero di avere corso legale in New England. Nel 1710 ebbero, per breve tempo, corso legale in Carolina del Nord. Continuarono a essere usati come mezzo di scambio, in alcuni casi, fino al XX secolo ma il loro valore fu gravemente inflazionato dalle tecniche produttive occidentali e presto presero la strada che fu percorsa dai gioielli d’oro o argento quando fu introdotta la coniazione: passarono dall’essere moneta di buona manifattura a semplici oggetti decorativi. Le parole americane legate alla moneta wampum divennero solo un retaggio della tradizione: “cento vongole” divennero “cento dollari”. “Shelling out”* venne a significare “pagare in moneta coniata o banconota o, eventualmente, con assegno o carta di credito”.[D94] Non sapevamo di aver sfiorato le reali origini della nostra specie.
Oggetti collezionabili
La moneta dei nativi americani ebbe varie forme oltre le conchiglie. Pelli, denti e una varietà di altri oggetti con caratteristiche che discuteremo di seguito erano comunemente usati come mezzi di scambio. 12.000 anni fa, dove adesso si trova Washington, la cultura Clovis produsse delle meravigliose e lunghe lame di selce. Unico problema: si rompevano troppo facilmente ed erano inutilizzabili per il taglio. Le selci venivano lavorate per puro divertimento o per altri propositi che non avevano nulla a che fare con il taglio.[G01] Come vedremo, questa apparente frivolezza, probabilmente, fu molto importante per la sopravvivenza dei Clovis.
I nativi americani, comunque, non sono stati i primi a creare lame artigianalmente di valore ma inutilizzabili, e non furono nemmeno i primi ad utilizzare le conchiglie come monete. Nemmeno gli europei furono i primi, sebbene in passato abbiano largamente fatto uso di conchiglie e denti come moneta, per non parlare del bestiame, dell’oro, dell’argento, delle armi e di molte altre cose. Gli asiatici usarono tutte queste cose e anche delle asce decorative emesse, in prima battuta, dai governi. Ma anche loro avevano importato queste usanze. Infatti gli archeologi hanno trovato pendenti di conchiglie, databili all’alto Paleolitico, molto simili a quelli usati dai nativi americani.
Alla fine degli anni ‘90 l’archeologo Stanley Ambrose scoprì, in una caverna della Rift Valley in Kenya, un piccolo deposito di perline ricavate da gusci d’uovo di struzzo e frammenti di conchiglie. Usando la datazione argon-argon (40Ar/39Ar) fu stimato che avessero almeno 40.000 anni.[A98] In Spagna furono trovati denti di animali forati databili allo stesso periodo storico.[W95] Conchiglie perforate, datate in un periodo simile, furono rinvenute in Libano, in un sito risalente all’alto Paleolitico.[G95] Recentemente, nelle grotte di Blombos in Sud Africa, sono state ritrovate conchiglie lavorate e preparate per essere usate come perline, databili a un periodo ancora precedente: 75.000 anni fa.[B04]
La nostra sottospecie moderna migrò in Europa circa 40.000 anni fa e, contestualmente, apparvero pendenti fatti di conchiglie e denti animali. Gli stessi apparvero in Australia a partire da 30.000 anni fa.[M93] In tutti questi casi, comunque, i lavori sono molto elaborati, evidenziando pratiche affinatesi nel corso di secoli ancora precedenti. Il luogo d’origine della pratica di accumulare e decorare è, molto probabilmente, l’Africa, la terra d’origine dell’uomo anatomicamente moderno. Accumulare e intrecciare collane doveva avere un grande vantaggio selettivo dal momento che era una pratica faticosa: manipolare artigianalmente le conchiglie richiedeva tempo e grandi capacità tecniche, in un’epoca nella quale l’essere umano viveva costantemente minacciato dalla fame.[C94]
Sostanzialmente ogni cultura, persino quelle non coinvolte in grandi scambi commerciali o quelle che usano forme moderne di denaro, producono e amano i gioielli, e valutano certi oggetti più per la loro attrattiva artistica o per il loro essere cimeli ereditari rispetto la mera utilità. Noi esseri umani collezioniamo collane di conchiglie e altri tipi di gioielli per puro piacere. Per gli psicologi evoluzionisti, la spiegazione che gli uomini fanno qualcosa “per puro piacere” non è affatto una spiegazione: è un modo per aprire una nuova questione. Perché le persone traggono piacere dal collezionare e indossare gioielli? Per gli psicologi evoluzionisti la questione diventa: cosa ha causato l’evolversi di questo piacere?
Evoluzione, cooperazione e oggetti di valore
La psicologia evolutiva inizia con una importantissima scoperta matematica di John Maynard Smith.[D89] Usando modelli di popolazioni genetiche che co-evolvono (presi dalla ben sviluppata genetica delle popolazioni), Smith ha ipotizzato che i geni possano codificare strategie (sia buone che cattive) da usare in semplici problemi strategici (ovvero il “gioco” della Teoria dei Giochi). Smith dimostrò che questi geni competono per essere propagati alla future generazioni, sviluppando strategie che replicano l’equilibrio di Nash rispetto al problema posto dalla competizione evolutiva. Queste sfide includono il Dilemma del Prigioniero (un tipico problema sulla cooperazione) e il Gioco del Pollo (un tipico problema riguardo l’aggressione e la sua mitigazione).
Fondamentale, nella teoria di Smith, è che questi giochi di strategia, anche se si svolgono a livello fenotipico, sono, di fatto, sfide tra geni; ovvero il livello dove si svolge la competizione per la propagazione generazionale. Questi geni, non necessariamente gli individui, influenzano il comportamento come se fossero limitatamente razionali (producendo le migliori strategie nel limite di quello che è fenotipicamente esprimibile data la materia prima biologica e la storia evolutiva precedente) ed “egoisti” (per usare la metafora di Richard Dawkins). L’influenza genetica sui comportamenti è un adeguamento ai problemi sociali presentati dai geni che competono attraverso i loro fenotipi. Smith chiamò questa evoluzione dell’equilibrio di Nash, Strategia Evolutivamente Stabile.
Le teorie generali basate sulla selezione dell’individuo, come la selezione sessuale e la selezione parentale, spariscono dinanzi a questo modello generale nel quale, come per la rivoluzione Copernicana, viene posto il gene, e non l’individuo, al centro della teoria evolutiva. Da qui nasce la metafora (a volte fraintesa) riguardo il “gene egoista” di Dawkins.
Poche altre specie animali cooperano come l’essere umano, anche se paragonate all’uomo del Paleolitico. In alcuni casi (covate, colonie di formiche, termiti, api e così via) gli animali cooperano perché sono imparentati, perché possono aiutare a diffondere il loro “gene egoista”. In alcuni ambienti particolarmente ostili vige la collaborazione anche tra non parenti, cosa che gli psicologi evoluzionisti chiamano “altruismo reciproco”. Come spiega Dawkins,[D89] a meno che uno scambio di favori non sia simultaneo (e in alcune evenienze anche in questo caso) una delle due controparti, o entrambe, possono frodare. E spesso lo fanno. Questo è il tipico risultato di un problema della Teoria dei Giochi chiamato il Dilemma del Prigioniero: se entrambe le parti cooperano, ricevono una pena mite. Ma se una delle due mente, quella bugiarda viene scagionata e quella che non mente riceve la pena massima. In un gruppo dove ci sono onesti e bugiardi, i menzogneri vincono sempre. A volte gli animali cooperano attraverso interazioni ripetute, in una strategia chiamata Tit for Tat (in italiano teoria della Ritorsione Equivalente, ovvero pan per focaccia. N.d.T.): cooperano fintanto che una delle due parti non imbroglia e a quel punto sciolgono il legame. Questo tipo di ritorsione incentiva a continuare la cooperazione.
Questo tipo di cooperazione avviene quando l’ambiente è molto vincolante. Uno dei principali vincoli affinché ciò avvenga si verifica quando le due controparti sono costrette a vivere in prossimità l’una dell’altra. Il caso più comune è quando il parassita e l’ospite (del quale condividono il corpo) sviluppano un rapporto simbiotico. Se l’interesse del parassita e dell’ospite coincide, in modo che la collaborazione tra i due dia un risultato migliore rispetto alla somma degli sforzi dei singoli (ad esempio se l’ospite trae un beneficio dal parassita), in questo caso, se riescono ad applicare la strategia Tit for Tat, i due si evolveranno come entità simbiotiche: uno stato dove i loro interessi, specialmente il meccanismo di propagazione dei geni da una generazione all’altra, coincidono. Diventano come un singolo organismo. Comunque, c’è qualcosa in più rispetto alla semplice cooperazione in tutto ciò: esiste anche lo sfruttamento. Le cose sono concomitanti. La situazione è analoga a una convenzione sviluppata dall’uomo, i tributi, che analizzeremo più avanti.
A volte si verificano delle situazioni particolari, dove non sono parassita e ospite che condividono lo stesso corpo a sviluppare comportamenti simbiotici. Ciò accade quando animali non imparentati condividono ambienti particolarmente vincolanti. Uno dei più chiari esempi portati da Dawkins sono i pesci pulitori. Questi pesci nuotano dentro e fuori dalla bocca dell’ospite, mangiando i batteri che trovano e fornendo un beneficio al pesce ospitante. Il pesce ospitante potrebbe imbrogliare: potrebbe aspettare che il pesce pulitore finisca il suo lavoro e poi mangiarlo. Ma non lo fa. Dal momento che non condividono lo stesso corpo, possono sciogliere il patto quando desiderano.
I pesci pulitori hanno sviluppato un fortissimo senso della territorialità, hanno un aspetto e fanno danze difficili da imitare (come il logo di un brand difficile da copiare). Quindi i pesci ospitanti sanno dove andare quando necessitano una pulizia della bocca e sanno che se imbrogliano dovranno riconquistare la fiducia di un sospettoso nuovo pesce pulitore. I costi d’ingresso e uscita dalla relazione sono alti, e quindi procede senza intoppi. Oltretutto i pesci pulitori sono molto piccoli, quindi il beneficio nutritivo è modesto rispetto al beneficio di una bocca pulita.
Uno degli esempi più pertinenti è quello del pipistrello vampiro (Vampiro vero di Azara). Come suggerisce il nome, egli succhia il sangue dei mammiferi. La cosa interessante è che, nelle nottate positive, porta alla grotta un surplus di sangue. Nelle nottate negative, nulla. La sua caccia notturna è molto imprevedibile. Ne deriva che i pipistrelli fortunati (o molto abili) a volte condividono il sangue con i meno fortunati (o meno abili). Vomitano il sangue e il grato destinatario se ne nutre.
La maggior parte delle volte i destinatari sono imparentati col donatore. Il biologo (forte di stomaco) G.S. Wilkinson ha esaminato 110 casi di rigurgito: 77 casi erano relativi a un pipistrello che nutriva i propri figli e gli altri casi coinvolgevano comunque un parente genetico. C’erano pochi casi non inquadrabili nell’altruismo parentale. Per dimostrare che questi fossero casi di reciproco altruismo, Wilkinson mescolò pipistrelli provenienti da due gruppi distinti. I pipistrelli, salvo rare eccezioni, nutrivano solo i membri provenienti dal loro gruppo originario.[D89] Questo tipo di cooperazione richiede la costruzione di una relazione a lungo termine, nella quale i parenti interagiscono spesso tra loro, si riconoscono e tengono traccia del comportamento di ognuno. Le grotte anguste forzano i pipistrelli a costruire lunghe relazioni, le quali fanno nascere legami forti.
Nel corso del saggio vedremo che anche alcuni esseri umani scelgono prede difficili che rendono la caccia un’attività dal risultato discontinuo e condividono il surplus con i non parenti. Portano avanti questa strategia in un modo molto più estensivo rispetto ai pipistrelli. Come lo fanno è il soggetto di questo saggio breve. Darwin ha suggerito che “il denaro è una rappresentazione formale di altruismo reciproco differito nel tempo”, ma non ha mai approfondito questa affascinante idea. Noi lo faremo.
Nei gruppi umani ristretti la reputazione pubblica può sostituire la possibilità di ritorsione del singolo individuo nel motivare la cooperazione a reciprocità differita. Ma gli status reputazionali possono soffrire di due gravi problemi: problemi legati al sapere quale persona ha fatto cosa e possibili errori nello stimare il valore (o il danno) di una determinata azione.
La necessità di ricordare facce e favori è un ostacolo cognitivo importante, ma per la maggior parte degli esseri umani è un ostacolo superabile. Riconoscere le facce è facile, ma ricordare i favori è più difficile. Ricordare le specifiche di un favore che ha reso un determinato beneficio al ricevente è ancora più difficile. Evitare dispute e incomprensioni è pressoché impossibile.
Misurare il valore è un problema fondamentale e per gli umani è un problema che entra in gioco in ogni scambio: favori reciproci, baratto, credito, lavoro o commercio a mercato. E’ importante anche nell’estorsione, nei tributi, nella tassazione e nello stabilire pene giudiziarie. E’ altresì importante anche nell’altruismo reciproco degli animali. Analizziamo uno scambio di favori tra scimmie: pezzi di frutta per grattini sulla schiena. La mutua toelettatura serve a rimuovere zecche e pidocchi che un individuo non può vedere o raggiungere da solo. Ma che quantità di toelettatura rispetto a una quantità di frutta è uno scambio “giusto”? O, in altre parole, non è una fregatura? Venti minuti di toelettatura alla schiena valgono un pezzo di frutta o due? E di che grandezza dovrebbero essere questi pezzi di frutta?
Anche lo scambio di sangue tra pipistrelli è un problema più complicato di quel che sembra a una prima occhiata. Come valutano, i pipistrelli, il sangue ricevuto? Valutano il favore in base al peso? Alla massa? Al gusto? In base alla capacità di sfamare? O quale altra variabile? Allo stesso modo sorgono problemi nella valutazione del semplice scambio tra scimmie “io ti gratto la schiena e tu gratti la mia”.
Per la stragrande maggioranza dei potenziali scambi il problema della valutazione è inestricabile. Più che il risolvibile problema del riconoscere le facce e collegarle al favore ricevuto, l’abilità di entrambe le parti di accordarsi (con sufficiente accuratezza) sulla stima di valore di un favore è probabilmente la barriera più grande, nel regno animale, per l’altruismo reciproco.
Persino i manufatti di pietra che sono giunti fino a noi dal Paleolitico erano, in un certo senso, troppo complicati per un cervello della nostra dimensione. Tenere traccia dei favori nei quali venivano coinvolti (chi l’ha lavorato? Di che qualità? Per chi? Chi deve cosa a chi?) sarebbe stato troppo difficile e impossibile da espandere al di fuori del ristretto cerchio del proprio clan. Aggiungiamo a questi oggetti di pietra, probabilmente, anche oggetti organici e servizi effimeri (come la tolettatura) e altre cose che non sono potute giungere fino a noi. Dopo pochi scambi di beni o di servizi i nostri cervelli, così bombardati di informazioni, non avrebbero potuto tenere traccia di chi dovesse cosa a chi. Oggi possiamo annotare queste cose, ma gli uomini del Paleolitico non avevano la scrittura. Se la cooperazione avveniva tra clan o addirittura tra tribù (cosa che in effetti accadeva, secondo gli archeologi) il problema diventava ancora più grosso, dal momento che le tribù di cacciatori-raccoglitori erano solitamente molto diffidenti l’una dell’altra.
Se le conchiglie possono essere denaro, se le pelli possono essere denaro, se l’oro può essere denaro, se il denaro non è solo una moneta o una banconota rilasciata dal governo sotto il cappello di una legge sul corso forzoso, se, al contrario, il denaro può essere un’ampia varietà di oggetti, allora cosa è il denaro? E perché mai, gli esseri umani, che per gran parte della loro storia hanno vissuto al limite della sopravvivenza, hanno speso così tanto tempo nel fabbricare e nell’utilizzare collane e pendenti, quando avrebbero potuto cacciare o raccogliere più frutti? L’economista del XIX secolo Carl Menger[M1892] per primo descrisse come la moneta evolve naturalmente e inevitabilmente dal baratto di una selezione di beni sufficientemente ampia. In termini economici moderni la storia è simile a quella descritta da Menger.
Il baratto necessita della coincidenza degli interessi. Alice coltiva noci e vuole delle mele; Bob coltiva mele e vuole delle noci. Per puro caso le loro coltivazioni confinano e si fidano reciprocamente l’uno dell’altro, tanto da attendere i tempi di coltivazione dei frutti. Dando per scontate tutte queste condizioni, il baratto funziona bene. Ma se Alice coltivasse arance e se Bob desiderasse noci anziché arance, entrambi rimarrebbero delusi: arance e mele non crescono alle stesse condizioni climatiche. Se Alice e Bob non avessero fiducia reciproca e non riuscissero a trovare una terza figura intermediaria[L94] che possa far rispettare un contratto, non potrebbero concludere affari.
Potrebbero sorgere altre complicazioni. Alice e Bob non potrebbero nemmeno farsi la promessa di vendersi mele o noci in futuro, perché, tra le varie possibilità, Alice potrebbe tenere per sé le noci migliori (e Bob potrebbe fare lo stesso con le mele), e cedere quelle peggiori. Paragonare qualità o quantità di due tipi diversi di prodotti è complicatissimo tanto più quando uno dei due prodotti non è più disponibile fisicamente ma solo nella memoria. Per di più, nessuno dei due può prevedere eventi avversi, come un raccolto pessimo. Queste complicazioni aggiungono un fardello nel giudizio di Alice e Bob nei riguardi del loro altruismo reciproco. Questi problemi aumentano all’aumentare dell’intervallo di tempo e dell’incertezza tra la transazione iniziale e la sua compensazione.
Un problema correlato è che, come direbbe un ingegnere, il baratto “non scala”. Il baratto funziona bene con volumi bassi ma diventa sempre più costoso al suo espandersi, fino a diventare troppo svantaggioso. Se ci sono n beni e servizi in commercio, un mercato basato sul baratto richiede n^2 prezzi. Cinque prodotti richiedono venticinque prezzi (e la cosa non è nemmeno male) ma 500 prodotti richiedono 250.000 prezzi che è ben oltre quanto la mente umana possa tenere in memoria. Usando la moneta ci sono solo n prezzi: 500 prodotti, 500 prezzi. La moneta, per questo fine, può funzionare sia da mezzo di scambio sia da unità di conto del valore, fintanto che il numero di prezzi espressi in moneta non cresce troppo per essere memorizzato oppure fluttua troppo spesso. Il problema della fluttuazione, insieme a un “contratto” implicito di assicurazione, insieme alla mancanza di un mercato competitivo, potrebbe spiegare perché i prezzi venivano spesso determinati da consuetudini consolidate nel tempo piuttosto che da negoziazioni immediate.
Il baratto, in altre parole, richiede coincidenza di fornitura, necessità, tempo e bassi costi transazionali. Il suo costo aumenta molto più velocemente rispetto al tasso di crescita del numero di beni commerciati. Certamente è meglio dell’assenza totale di scambi, ed è stato praticato quasi ovunque, ma è abbastanza limitante se comparato al commercio con denaro.
Le monete primitive sono esistite ben prima delle reti commerciali di vasta scala. La moneta ha avuto un precedente (e molto importante) uso. La moneta ha migliorato il funzionamento anche delle piccole reti commerciali basate sul baratto, riducendo di molto la necessità del credito. Le coincidenze di preferenze simultanee erano ben più rare rispetto alle coincidenze di preferenze su un arco temporale lungo. Grazie alla moneta Alice potrebbe lavorare per Bob durante la raccolta dei mirtilli questo mese e Bob potrebbe cacciare per Alice durante la migrazione dei mammuth sei mesi dopo, senza che nessuno dei due debba tenere traccia di chi è in debito con chi oppure fidarsi della memoria od onestà dell’altro. Il grande investimento di una madre nell’allevare i figli potrebbe essere garantito da doni ereditari di valore non falsificabili. La moneta muta il problema della divisione del lavoro da un dilemma del prigioniero a un semplice scambio.
La proto-moneta usata da molte tribù di cacciatori-raccoglitori è molto diversa dalla moneta moderna (ora serve uno scopo diverso) e ha avuto una funzione probabilmente limitata a reti commerciali piccole e ad altre consuetudini locali che discuteremo più avanti. Chiamerò questo tipo di moneta oggetto da collezione anziché moneta vera e propria. Il termine usato nella letteratura antropologica per questi oggetti è, solitamente, “moneta”, in un senso molto più ampio rispetto al mero conio emesso da un governo, ma in senso più ristretto rispetto al termine oggetti da collezione che useremo in questo saggio, o al più vago “oggetti di valore”, che a volte si riferisce a oggetti che non sono da collezione nel senso inteso in questo saggio. Le ragioni per la scelta di questo termine invece di altri diverrà chiara nel corso della lettura. Gli oggetti da collezione hanno attributi specifici, non sono solo simbolici. Anche se l’oggetto specifico e i suoi attributi, valutati come oggetti da collezione, variano di cultura in cultura, sono ben lontani dall’essere prodotti arbitrariamente. La primaria e più importante funzione evolutiva degli oggetti da collezione era quella di essere mezzi di trasferimento e mantenimento della ricchezza. Alcuni oggetti da collezione, come i wampum, potevano essere abbastanza funzionali come moneta (per come la intendiamo noi oggi), laddove le condizioni socio-economiche incoraggiavano il commercio. A volte userò il termine “proto-moneta” e “moneta primitiva” invece di “oggetti da collezione” quando discuteremo dei mezzi di trasferimento di ricchezza del periodo pre-coniazione.
Benefici dello scambio di valore
Persone, clan e tribù commerciano volontariamente perché entrambe le parti coinvolte credono di trarre un vantaggio. Il loro pensiero nei riguardi del valore può cambiare dopo lo scambio, poiché, ad esempio, maturano esperienza nei riguardi del bene o del servizio. Il loro giudizio, al momento dello scambio, benché possa essere in qualche modo inaccurato, è comunque solitamente corretto per quanto riguarda l’esistenza di un guadagno. Specialmente nei primi commerci intertribali, ristretti ad oggetti di alto valore, c’era un forte incentivo, per entrambe le parti, affinché il giudizio sul beneficio dello scambio fosse corretto. Pertanto questi scambi, quasi sempre, generavano un guadagno per entrambe le parti. Il commercio genera altrettanto valore che l’atto fisico di creare qualcosa.
Dal momento che individui, clan e tribù differiscono tra loro nelle preferenze, nelle abilità e variano nel giudizio che hanno riguardo queste preferenze e queste abilità, ci sono sempre dei benefici da trarre dagli scambi. Che i costi di questi scambi (i costi transazionali) siano sufficientemente bassi da rendere convenienti gli scambi è un’altra questione. Nella nostra civiltà moderna la possibilità di commerciare è più ampia di quanto sia mai stata nel corso della storia dell’uomo. Tuttavia, come vedremo, alcuni tipi di scambi valevano più dei costi di transazione probabilmente già agli albori dell’homo sapiens sapiens.
Scambi occasionali e volontari non sono le uniche tipologie di scambi che beneficiano dei costi transazionali bassi. Questa è la chiave di volta per capire l’origine e l’evoluzione della moneta. Gli oggetti collezionabili potevano essere usati come collaterale per rimuovere il rischio di credito negli scambi dilazionati nel tempo. La capacità di una tribù vincitrice di prendersi i tributi dagli sconfitti era un gran beneficio per i trionfatori. La capacità del vincitore di raccogliere tributi beneficiava anche di alcune delle stesse tecniche di abbassamento dei costi transazionali del commercio. Lo stesso avveniva per il querelante nei casi di risarcimento danni e per i gruppi parentali nell’organizzazione dei matrimoni. I famigliari beneficiavano anche di trasferimenti di ricchezza puntuali e pacifici tramite eredità. La maggior parte degli eventi umani che la cultura moderna separa dalla sfera del commercio trassero beneficio, non meno del commercio stesso (e alcune volte maggiormente), dalle tecniche che riuscivano ad abbassare i costi transazionali. Nessuna di queste tecniche fu più efficace, importante o primigenia rispetto alla moneta primitiva, ovvero gli oggetti collezionabili.
Quando H. sapiens sapiens sostituì H. sapiens neanderthalis la popolazione umana esplose. Ritrovamenti databili al periodo di questa sostituzione in Europa (circa 40.000-35.000 anni fa) indicano che l’homo sapiens sapiens riuscì ad aumentare la resa del suo ambiente di un fattore di dieci rispetto l’homo sapiens neanderthalis. Per fare un esempio, la densità di popolazione è aumentata di dieci volte in quel periodo.[C94] Non solo questo, i nuovi arrivati avevano anche più tempo libero per creare i primi esempi di arte mondiale: dipinti rupestri e, ovviamente, meravigliosi pendenti e collane di gusci di conchiglia, denti e gusci d’uovo.
Questi oggetti non erano inutili suppellettili decorative. La nuova capacità di trasferire ricchezza, resa possibile dagli oggetti collezionabili, tanto quanto l’altra rivoluzione di quell’epoca, cioè il linguaggio, creò nuove istituzioni culturali che giocarono un ruolo decisivo nell’aumentare la capacità di sostentamento della popolazione.
Il neo arrivato H. sapiens sapiens, aveva il cervello della stessa dimensione ma ossa e muscoli più deboli rispetto ai Neanderthal. Le sue armi da caccia erano più sofisiticate ma non erano dieci volte più efficaci rispetto quelle dei Neanderthal, forse nemmeno il doppio. La più grande differenza era, forse, la maggior capacità ed efficienza nel trasferimento della ricchezza, resa possibile dagli oggetti collezionabili. H. sapiens sapiens traeva piacere dal collezionare conchiglie e creare gioielli con esse e poi indossarli e commerciali; l’homo sapiens neanderthalis non aveva queste usanze. La stessa dinamica si verificò, decine di migliaia di anni prima, sul Serengeti, quando l’H. sapiens sapiens apparve la prima volta in quel contenitore evolutivo che fu l’Africa.
Descriveremo come gli oggetti da collezione siano riusciti ad abbassare i costi transazionali in ciascun tipo di scambio: nel passaggio di beni per eredità, nel commercio volontario, nel matrimonio e anche nei trasferimenti di ricchezza non voluti come quelli delle sentenze legali o nel caso dei tributi.
Tutti questi trasferimenti di valore sono occorsi in molte culture umane della preistoria, probabilmente fin dall’apparizione dell’homo sapiens sapiens. I benefici, da una o ambo le parti, tratti da questi trasferimenti di valore (che accadevano una tantum o comunque molto raramente) erano così grandi che avvenivano nonostante gli alti costi transazionali. Se comparata alla moneta moderna, la moneta primitiva era molto lenta: poteva accadere fosse scambiata una manciata di volte nel corso di una vita. Tuttavia, un oggetto da collezione durevole, che oggi chiameremmo cimelio di famiglia, poteva durare per generazioni e guadagnare valore ad ogni trasferimento. Di conseguenza le tribù passavano molto tempo nel solo apparentemente frivolo impegno di creare manufatti ed esplorare il territorio alla ricerca di materie prime per gioielli ed oggetti di valore.
Anello di Kula
Per ogni consuetudine nella quale il trasferimento di valore era una componente importante, dovremmo porci le seguenti domande:
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Che coincidenza di tempo, disponibilità e domanda era necessaria? Quanto, l’improbabilità di questa coincidenza, costituiva una barriera al trasferimento di valore?
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Il trasferimento di valore costituiva un circolo chiuso di oggetti da collezione o vi era necessità di altre pratiche di trasferimento del valore per chiudere il cerchio? Prendere in considerazione il reale grafo del flusso della circolazione monetaria è fondamentale per capire il perchè della nascita della moneta. Per molta parte della nostra preistoria non è esistita (e non sarebbe potuta esistere) una circolazione monetaria vasta che coinvolgesse una gran varietà di scambi. Senza circuiti chiusi e completi, gli oggetti da collezione non sarebbero circolati e non avrebbero avuto valore. Un oggetto da collezione, affinché valesse la pena produrlo, sarebbe dovuto essere utilizzato in un numero di scambi che ne ammortizzasse il valore di produzione.
Analizzeremo, per primo, il tipo di trasferimento di valore che ci è più familiare ed economicamente rilevante per noi oggi: il commercio.
Assicurazione contro la fame
Bruce Winterhalder[W98] ci propone dei modelli del come e del perché, a volte, il cibo viene scambiato tra animali. Questi modelli sono: furto tollerato, produzione, raccolta, opportunismo, sussistenza sensibile al rischio, mutualismo per prodotto collaterale, reciprocità ritardata, scambio non in natura e altri modelli di selezione (incluso l’altruismo parentale). Qui ci concentreremo sulla sussistenza sensibile ai rischi, la reciprocità ritardata e il commercio (lo scambio non in natura). Discuteremo il fatto che sostituire lo scambio di cibo per oggetti da collezione grazie alla reciprocità ritardata possa aumentare la condivisione del cibo. Lo fa mitigando il rischio di varianza nella disponibilità di sussistenza e superando i solitamente inevitabili ostacoli di scambi in tempistiche diverse tra clan. Affronteremo l’altruismo parentale e il furto (tollerato o meno) più avanti.
Il cibo vale di più per l’individuo affamato che per quello ben pasciuto. Se l’uomo affamato può salvarsi la vita scambiando i suoi beni più preziosi, lo scambio può ben valere i mesi e gli anni necessari affinché possa accumulare di nuovo quella ricchezza. Solitamente giudica la sua vita più valevole rispetto il valore sentimentale dei cimeli di famiglia. Allo stesso modo del grasso, anche gli oggetti collezionabili possono essere un’assicurazione contro la mancanza di cibo. La fame dovuta ad una momentanea scarsità di cibo poteva essere mitigata grazie a due tipi diversi di scambio: per il cibo stesso o per diritti di pascolo o caccia.
Tuttavia, i costi transazionali erano solitamente troppo alti: i clan erano soliti combattere più che fidarsi reciprocamente. Le tribù affamate che non riuscivano a trovare del cibo in autonomia solitamente perivano. Se i costi transazionali potevano essere abbassati (abbassando il livello di fiducia reciproco necessario) il cibo che per un clan valeva un giorno di lavoro sarebbe potuto valere mesi di lavoro per un clan di individui affamati.
Scambi su piccola scala, ma di altissimo valore furono, sostiene il nostro saggio, resi possibili dall’avvento (tra molte culture) degli oggetti collezionabili fin dall’Alto Paleolitico. Questi oggetti potevano sostituire la altrimenti necessaria (ma non possibile) fiducia in rapporti duraturi con l’altro. Se fossero esistiti rapporti fiduciari di lunga durata tra tribù o tra individui di diverse tribù (così radicati da potersi concedere crediti non assicurati vicendevolmente) questo avrebbe fatto sviluppare il baratto differito. Ma questo grado di fiducia è sostanzialmente poco plausibile per le ragioni espresse precedentemente riguardo l’altruismo reciproco, confermate dalle evidenze empiriche che sottolineano quanto i rapporti tra tribù di cacciatori-raccoglitori fossero per lo più di vicendevole antagonismo. Le tribù di cacciatori-raccoglitori solitamente si dividevano in piccoli clan per gran parte dell’anno e si ritrovavano per alcune settimane in quelle che possiamo definire delle sorte di fiere. Nonostante la mancanza di fiducia tra clan, un importante commercio in oggetti (come quelli raffigurati in questo saggio) avveniva in Europa, altrove e allo stesso modo avveniva tra i cacciatori di grossi capi animali in America e Africa.
Lo scenario illustrato nella figura a seguire è ipotetico, ma sarebbe sorprendente scoprire che non si sia verificato. Molte tribù europee, durante il Paleolitico, amavano indossare collane di conchiglie, molte altre vivevano nell’entroterra e costruivano collane ricavate dai denti delle loro prede. Anche oggetti di selce, asce, pelli e altri oggetti collezionabili erano comunemente usati come mezzo di scambio.
Renne, bisonti e altre prede migrano in stagioni diverse dell’anno. Tribù differenti si specializzarono in prede differenti a tal punto che il 90% (a volte fino al 99%) dei resti trovati in alcuni siti risalenti al Paleolitico risultano essere della stessa specie animale.[C94] Questo indica quantomeno una specializzazione stagionale e forse una specializzazione a tempo pieno. Specializzandosi, i membri della tribù divenivano esperti del comportamento, delle abitudini migratorie e di altre caratteristiche della loro specie di interesse e, allo stesso modo, divenivano esperti nel fabbricare strumenti specifici per la caccia. Alcune tribù nordamericane erano specializzate rispettivamente nella caccia al bisonte, all’antilope o alla pesca del salmone. Nel nord della Russia e in alcune zone della Finlandia, molte tribù, inclusi i Sami che lo fanno ancora oggi, erano specializzate nella caccia a una singola specie di renna.
Queste specializzazioni erano probabilmente più necessarie quando in Nord America, Europa e Africa si aggiravano prede di grandi dimensioni (cavalli, uri europei, alci giganti, bisonti, bradipi giganti, mastodonti, mammuth, zebra, elefanti, ippopotami, giraffe, buoi muschiati, ecc.). I grossi animali selvatici che non temono l’uomo non esistono più. Durante il Paleolitico sono stati portati all’estinzione oppure a temere l’uomo e le sue armi. Comunque, per quasi tutto il periodo dell’ H. sapiens sapiens, greggi di questi animali erano diffusi ed era facile per i cacciatori specializzati abbatterne i capi. Secondo la nostra teoria basata sulla predazione commerciale, la specializzazione era più alta quando le prede di grandi dimensioni si aggiravano per i territori in greggi durante il Paleolitico. La divisione del lavoro basata sugli scambi tra tribù è compatibile (seppur non totalmente confermata) con i ritrovamenti archeologici europei databili al Paleolitico.
Queste tribù, seguendo le prede, interagivano frequentemente, creando molte opportunità commerciali. Gli Indiani Americani conservavano il cibo disidratandolo (il pemmican) in modo che potesse durare qualche mese, anche se solitamente non poteva durare un anno intero. Questo tipo di cibo era frequentemente commerciato, insieme a pelli, armi e oggetti da collezione. Spesso questi scambi avvenivano durante le annuali spedizioni commerciali.[T01]
I grandi animali passavano per un territorio solo due volte l’anno, con una finestra solitamente di uno o due mesi. Senza altra fonte di proteine oltre la loro preda specifica, queste tribù specializzate sarebbero morte di fame. La grande specializzazione che si evince dai ritrovamenti era possibile solo con la concomitante esistenza del commercio.
Infatti, benché il baratto differito fosse l’unico commercio esistente, era più che sufficiente per rendere utile l’utilizzo di oggetti da collezione. Pendenti, selci e ogni altro oggetto usato come moneta, circolavano in un anello chiuso, avanti e indietro, in circa la stessa quantità fintanto che il valore della carne scambiata rimaneva stabile. Nota bene che non è sufficiente, per la nostra teoria sugli oggetti collezionabili, che fosse possibile il commercio una tantum. Per confermarla dobbiamo trovare anelli chiusi di scambi reciprocamente vantaggiosi. Negli anelli chiusi l’oggetto da collezione continua a circolare, ammortizzando il costo della sua realizzazione.
Come detto, sappiamo, dai ritrovamenti archeologici, che molte tribù si specializzarono nella caccia a una singola specie. Questa specializzazione era quantomeno stagionale ma se ci fosse stato un commercio esteso sarebbe potuta essere a tempo pieno. Divenendo esperta nelle abitudini e nei percorsi migratori e nei migliori modi di abbattimento, una tribù traeva notevoli benefici produttivi. Tuttavia questi benefici sarebbero stati inutili se specializzarsi su una singola preda significava rimanere senza cibo per la maggior parte dell’anno. La divisione del lavoro tra tribù era vantaggiosa e il commercio l’ha resa possibile. La disponibilità di cibo, sostanzialmente, raddoppiava grazie al commercio anche tra solo due tribù complementari. C’erano, comunque, più di due specie da preda; solitamente i luoghi di caccia più favorevoli, come il Serengeti e le steppe europee, erano popolate da circa una dozzina di specie da cacciare. La quantità di carne disponibile per una tribù specializzata, dunque, era più che doppia grazie al solo commercio con una manciata di tribù diverse. In tutto ciò, la carne extra sarebbe stata disponibile nel momento di maggior bisogno: quando la carne della propria specie target sarebbe già stata consumata.
Quindi c’erano almeno quattro benefici, o fonti di surplus, da un anello commerciale semplice composto da due specie da preda e due scambi non simultanei ma complementari. I benefici sono distinti, ma non necessariamente indipendenti l’uno dall’altro:
- Disponibilità di carne in un momento dell’anno nel quale altrimenti una tribù avrebbe patito la fame.
- Aumento nella disponibilità massima di carne: commerciavano il surplus del quale non si sarebbero potuti nutrire immediatamente o che non avrebbero potuto conservare, infatti ciò che non fosse stato scambiato sarebbe andato buttato.
- Un aumento della varietà di carni, riuscendo a mangiare carni di animali diversi.
- Aumento della produttività grazie alla specializzazione del lavoro su una singola specie.
Fabbricare o conservare oggetti da collezione da scambiare per cibo non era l’unica assicurazione contro tempi bui. Forse, ancora più comune, specialmente laddove non erano disponibili resti di grandi prede, era il commercio dei diritti di raccolta su un determinato territorio. Questa cosa può essere osservata ancora oggi nelle culture di cacciatori-raccoglitori.
I !Kung San del Sud Africa, come tutte le altre tribù di cacciatori-raccoglitori moderne, abitano su terre marginali (sono terre dallo scarso valore agricolo/produttivo in quanto, i prodotti agricoli eventualmente coltivati in loco, varrebbero meno di qualsiasi affitto pagato per l’accesso all’area N.d.T.). I !Kung San non hanno avuto occasione di specializzazione ma si sono dovuti accontentare del magro surplus occasionale. Essi sono molto diversi da qualsiasi altra tribù di cacciatori-raccoglitori, e sono molto diversi dall’homo sapiens sapiens originario il quale, per prima cosa, requisì le terre e le zone predatorie migliori all’homo sapiens neanderthalis (e solo molto più tardi scacciò i neanderthaliani anche dalle terre marginali). Comunque, nonostante il loro grande handicap ecologico, i !Kung San usavano oggetti da collezione per commerciare.
Come molti cacciatori-raccoglitori i !Kung San passavano gran parte dell’anno divisi in piccole bande erratiche e poche settimane l’anno in grandi agglomerati. Questa aggregazione era come una fiera commerciale ma con ulteriori caratteristiche distintive: venivano sì conclusi i commerci, ma venivano anche cementate alleanze, rafforzate le collaborazioni e venivano contratti matrimoni. La preparazione agli incontri era febbrile. Si creavano manufatti, alcuni destinati all’uso, altri destinati ad essere oggetti da collezione. Il sistema di scambi, chiamato dai !Kung hxaro era composto dal commercio di gioielli fatti di perline, come i pendenti fatti con gusci d’uovo di struzzo, abbastanza simili a quelli trovati in Africa 40.000 anni fa.
Una delle principali cose che i !Kung San scambiavano grazie ai loro oggetti collezionabili erano i diritti di ingresso nel territorio di un altro clan per cacciare o raccogliere cibo. Il commercio di questi diritti era particolarmente vivace nei periodi di magra, quando era importante trovare cibo nei territori dei vicini.[W77][W82] I Kung San segnavano il proprio territorio con delle frecce; oltrepassare i confini senza averne acquistato il diritto era parificato a una dichiarazione di guerra. Come lo scambio intra-clan di cibo di cui abbiamo parlato prima, l’uso di oggetti collezionabili per acquistare diritti di raccolta costituiva una “polizza assicurativa contro la fame”, per usare l’aforisma di Stanley Ambrose.[A98]
Nonostante quegli uomini, anatomicamente moderni, avessero un pensiero conscio, un linguaggio e alcune abilità di pianificazione, dar vita al commercio sarebbe stato possibile anche con una modesta presenza di queste tre abilità. Infatti i componenti di una tribù dovevano ragionare sul beneficio di un singolo scambio, nulla di più. Per creare questa istituzione sarebbe stato sufficiente che le persone seguissero il proprio istinto e creassero oggetti collezionabili con le caratteristiche esposte qui sotto (come indicato dalle osservazioni indirette che hanno creato delle stime approssimative per queste caratteristiche). Questo, in un certo verso, è vero per tutte le istituzioni che studieremo: si sono evolute piuttosto che essere pianificate consciamente. Nessun partecipante ai rituali di codeste convenzioni avrebbe mai spiegato la loro utilità in termini di funzione evolutiva finalistica, invece le avrebbe descritte come una gran varietà di mitologie che servivano più come promotori indiretti di comportamenti sociali piuttosto che teorie teleonomiche o sull’origine ultima.
Le prove del commercio alimentare sono, ovviamente, da tempo andate perdute. In futuro potremmo trovare nuove conferme oggi non disponibili, comparando i resti delle prede di una tribù con le abitudini alimentari di un’altra: il compito più difficile di questa operazione sarà delimitare le differenti tribù o i differenti gruppi famigliari. Secondo la nostra teoria, infatti, lo scambio di carne tra tribù era una pratica largamente diffusa nel mondo Paleolitico, dove si praticava la caccia di grandi prede in territori ampi.
Per il momento abbiamo molte prove indirette del commercio, grazie agli spostamenti degli oggetti da collezione. Fortunatamente c’è una buona correlazione tra la desiderata durabilità dell’oggetto da collezione e il fatto che l’artefatto sia sopravvissuto fino ad oggi per essere ritrovato dagli archeologi. Abbiamo la certezza di aver ritrovato conchiglie lavorate, databili al basso Paleolitico, a distanza di più di 500 chilometri dalla più vicina fonte di conchiglie disponibile, in un periodo nei quali tutti gli spostamenti umani erano a piedi.[C94] La stessa cosa si può dire della selce.
Sfortunatamente, il commercio, per gran parte del tempo e quasi in ogni luogo, era severamente menomato dagli alti costi transazionali. La prima barriera era l’antagonismo tra tribù. La relazione principale tra tribù era basata sulla sfiducia, se non addirittura sulla violenza conclamata. Solo legami matrimoniali o familiari potevano portare le tribù ad avere relazioni basate sulla fiducia, sebbene occasionali e limitate ad uno specifico scopo. La scarsa capacità di proteggere la proprietà privata, persino per gli oggetti da collezione indossati o seppelliti in ben congeniati nascondigli, faceva nascere la necessità che gli oggetti stessi ammortizzassero il loro costo in poche transazioni.
Perciò il commercio non fu l’unica possibilità di trasferimento di ricchezza (e probabilmente nemmeno la possibilità più sfruttata) durante tutto il lungo periodo preistorico, dove gli alti costi transazionali facevano da ostacolo allo sviluppo di un vero e proprio mercato, delle imprese e delle altre istituzioni economiche che oggi diamo per scontate.[L94] Precedenti alle nostre istituzioni economiche ve ne sono state altre, nel periodo preistorico. Tutte queste istituzioni distinguevano l’homo sapiens sapiens da tutto ciò che c’era stato prima. Adesso ci concentreremo su uno dei più basici esempi di trasferimento di ricchezza che noi umani diamo per scontato, ma che gli altri animali non hanno: il passaggio di ricchezza generazionale.
Altruismo parentale oltre la tomba
Coincidenza di spazio e tempo di disponibilità e domanda per gli scambi era cosa rara, rara a tal punto che gran parte degli scambi e delle consuetudini economiche basate sul commercio, che oggi diamo per scontate, non sarebbero potute esistere. Ancora più rara era la tripla coincidenza tra disponibilità, domanda e un evento importante per il gruppo famigliare, come la formazione di una nuova famiglia, una morte, un crimine o una vittoria o sconfitta in guerra. Come vedremo, clan e individui traevano gran beneficio dal concomitante trasferimento di ricchezza durante questi eventi. A sua volta, questo trasferimento di ricchezza, era meno costoso quando coinvolgeva una riserva di valore più generica e duratura rispetto ai beni consumabili o agli oggetti destinati principalmente all’uso quotidiano. La domanda per riserve di valore durevoli e senza finalità specifiche, da essere utilizzate in queste cerimonie, era quindi più importante rispetto alla domanda commerciale. Infatti, la consuetudine del matrimonio, dell’eredità generazionale, della risoluzione delle dispute e dei tributi, poteva soverchiare in importanza il commercio intertribale e significava, per molte tribù, uno spostamento di valore più grande rispetto agli scambi commerciali. Queste cerimonie, più che il baratto, servirono come motivatore e incubatore per le primitive forme di moneta.
Molte delle riserve di valore delle tribù di cacciatori-raccoglitori ci possono apparire, oggi, come triviali: utensili di legno, strumenti o armi di selce od osso, conchiglie con lacci, capanne o, nelle zone più fredde, pellicce. A volte tutti gli oggetti di valore potevano essere portati indosso. Questi variegati assortimenti erano vera e propria ricchezza per i cacciatori-raccoglitori, non meno di quanto noi consideriamo ricchezze immobili, azioni e obbligazioni. Per le popolazioni di cacciatori-raccoglitori strumenti e vestiti caldi erano necessari per sopravvivere. Molti degli oggetti erano collezionabili di alto valore che assicuravano il possessore o il clan contro la fame, servivano per stringere alleanze e potevano evitare il massacro o la depredazione totale in caso di guerra e sconfitta. La capacità di trasferire il capitale di sopravvivenza ad un discendente era un altro vantaggio che l’homo sapiens sapiens ebbe sugli altri animali. Per di più, gli individui o i clan più abili, potevano accumulare un surplus di ricchezza grazie all’occasionale (ma cumulativo nel corso di una vita) scambio di surplus di beni consumabili per ricchezze durevoli, come gli oggetti da collezione. Un temporaneo vantaggio poteva essere tradotto in un vantaggio più durevole per i discendenti.
Un altra forma di ricchezza, nascosta agli archeologi, erano i titoli ufficiali. Queste posizioni sociali erano più apprezzate rispetto alle forme tangibili di ricchezza in molte delle culture di cacciatori-raccoglitori. Esempi di queste cariche erano: capi-clan, capi-guerrieri, capi-caccia, membri di accordi commerciali di lunga durata (con una specifica persona di un clan o di una tribù vicina), ostetriche e ufficiali religiosi. Spesso gli oggetti da collezione non incorporavano ricchezza ma servivano da memoria condivisa e rappresentavano il titolo onorifico che donava una posizione privilegiata e di responsabilità all’interno del clan. In occasione del decesso dell’incaricato, per mantenere l’ordine, gli eredi di queste cariche dovevano essere identificati con chiarezza e rapidità. I ritardi avrebbero dato origine a conflitti pericolosi. Un evento comune era la festa mortuaria, durante la quale il morto veniva celebrato e i suoi beni, tangibili e intangibili, venivano distribuiti ai discendenti, così come era determinato dalle usanze, dal capo-clan o secondo la volontà del defunto.
Altre tipologie di doni gratuiti erano abbastanza rare nella cultura pre-moderna, come Marcel Mauss[M50] e altri antropologi hanno evidenziato. Quelli che sembravano doni gratuiti nei fatti, implicitamente, contenevano un obbligo per il ricevente. Prima del diritto contrattuale quest’obbligo, insieme al disonore innanzi la comunità e la seguente punizione se l’obbligo non fosse stato rispettato, fu forse il più comune incubatore di reciprocità negli scambi differiti ed è ancora presente nei vari favori informali che tutti ci scambiamo. Ereditarietà e altre forme di altruismo parentale erano le uniche forme largamente praticate di quello che oggi chiamiamo propriamente dono: cioè una regalia che non impone nessun obbligo al ricevente.
I primi commercianti e missionari europei, che spesso vedevano i nativi come dei bambini, a volte chiamavano i tributi che richiedevano loro “doni” e i commerci “scambio di doni”, come se assomigliassero più ai regali di Natale o di compleanno dei ragazzini europei e meno ai contratti e agli obblighi tributari degli adulti. In parte ciò rifletteva dei pregiudizi, in parte il fatto che allora, in Europa, gli obblighi erano formalizzati in maniera scritta, abilità che i nativi non avevano. Gli europei solitamente traducevano la gran varietà di parole che i nativi usavano per riferirsi a consuetudini commerciali o legali come “doni”. I coloni francesi del XVII secolo erano pochi rispetto alle popolazioni di Indiani nativi e spesso si trovavano a dover pagare tributi a queste tribù. Chiamare questi pagamenti “doni” era un modo per salvare la faccia con gli altri coloni europei che non avevano questa necessità e la trovavano di una codardia immane.
Mauss e gli altri antropologi moderni, sfortunatamente, hanno mantenuto questa terminologia. L’uomo non civilizzato viene ancora considerato un bambino, ma ora nel senso di “innocente come un bambino”, una creatura con una moralità superiore che non si era chinata alle nostre fredde usanze commerciali. In occidente, specialmente nella terminologia usata nel diritto commerciale, la parola “dono” si riferisce a un trasferimento di valore che non impone nessun obbligo. Quando si entra in discussioni antropologiche sullo “scambio di regalie o di doni”, questo caveat va tenuto a mente: gli antropologi moderni non si
riferiscono a regali informali liberi da obblighi cui comunemente ci riferiamo col temine “doni”. Piuttosto si riferiscono a una gran varietà (spesso molto complessa) di sistemi di diritti e obblighi coinvolti nello scambio di ricchezza. Nella preistoria l’unica transazione simile al nostro “dono”, nella quale non era contenuto un obbligo per il ricevente, era la cura parentale e l’eredità (unica eccezione: ereditare un titolo ufficiale Significava ereditare, oltre ai privilegi, anche le responsabilità).
L’ereditarietà di alcuni cimeli poteva procedere ininterrotta per generazioni, ma da sola non formava un anello chiuso di scambi di oggetti collezionabili. I cimeli avevano valore solo se potevano essere usati per qualcos’altro. Spesso venivano usati in accordi matrimoniali tra clan che potevano così formare un circuito chiuso di oggetti collezionabili.
Commercio familiare
Uno dei principali e più antichi circoli chiusi di scambi resi possibili dagli oggetti collezionabili coinvolge il grande sforzo che compiono gli esseri umani nell’allevare la prole rispetto tutti gli altri primati e la correlata istituzione umana del matrimonio. Combinando accordi di lunga durata per la coppia e l’allevamento della prole, negoziati tra i vari clan con trasferimenti di ricchezza, il matrimonio è una costante umana e probabilmente risale agli albori dell’ homo sapiens sapiens.
L’investimento parentale è a lungo termine e praticamente una tantum: non c’è tempo per ripetere l’interazione. Divorziare da un padre negligente o da una madre infedele solitamente significa aver buttato al vento parecchi anni in** **termini di benessere genetico. Fedeltà e impegno verso la prole erano primariamente forzati dai parenti acquisti: il clan. Il matrimonio era il contratto tra clan che includeva la promessa di fedeltà e di impegno verso la prole tanto quanto un trasferimento di ricchezza.
La dote che uomo e donna portavano al matrimonio era raramente uguale. Questo era ancor più vero in un periodo nel quale le coppie erano principalmente stabilite dai clan d’appartenenza e la popolazione tra cui il capo-clan poteva scegliere era abbastanza ridotta. Comunemente la donna era considerata più valevole e il clan dello sposo pagava il clan della sposa. In percentuale, la dote (il pagamento da parte del clan della sposa), era una pratica molto più rara. Per lo più era una pratica delle classi sociali alte della monogama, ma altamente ineguale, società medievale Europea e dell’India ed era, in ultima analisi, motivata dal fatto che, in questo tipo di società, il figlio maschio aveva un potenziale riproduttivo ben maggiore rispetto le figlie femmine. Dal momento che molta della letteratura era prodotta dalle classi più alte, la dote è molto presente nei racconti della tradizione occidentale anche se non rispecchia la reale diffusione tra le diverse culture umane: infatti, era una pratica abbastanza rara.
Matrimoni tra clan potevano formare un circolo chiuso di oggetti collezionabili. Infatti, due clan che si scambiano i membri erano sufficienti per mantenere un circolo chiuso, fintanto che le mogli tendevano ad alternarsi. Se un clan avesse avuto un surplus di oggetti da collezione (derivati da altre tipologie di scambi) avrebbe potuto far sposare un numero maggiori di figli maschi a delle mogli migliori (nelle società monogame) o a un numero maggiori di mogli (nelle società poligame). In un circolo che coinvolgesse solo matrimoni, la moneta primitiva sarebbe servita semplicemente per sostituire la necessità di memoria e fiducia tra clan su un lungo periodo di distanza temporale tra trasferimenti non bilanciati di risorse riproduttive.
Come l’eredità, le azioni legali e i tributi, il matrimonio necessita una tripla coincidenza. In questo caso: l’evento stesso, la domanda e l’offerta. Senza una trasferibile e durevole riserva di valore, la capacità del clan del marito di soddisfare i desideri del clan della moglie, in un grado tale da compensare la differenza di valore tra moglie e marito e allo stesso tempo soddisfare i legami politici e romantici dell’accordo, sarebbe stata menomata in maniera considerevole. Una soluzione era imporre un servizio durevole offerto dal marito o dal suo clan al clan della moglie. Questo accadeva in circa il 15% delle culture umane conosciute.[DW88] In numero ben maggiore, il 67%, il marito o il clan del marito pagava al clan della moglie un ammontare considerevole. Parte di questo scambio veniva pagato immediatamente in beni consumabili, ad esempio con piante per la semina e animali da macello per la festa di matrimonio. Nelle società agricole o dedite alla pastorizia molta parte del valore della moglie veniva pagato in bestiame, una forma di ricchezza molto durevole. Il saldo, che solitamente era una parte molto importante del valore della moglie nelle società che non disponevano di bestiame, veniva solitamente pagato con i cimeli di famiglia più preziosi: i più rari, i più costosi e i più durevoli pendagli, anelli e oggetti simili. La pratica occidentale del marito che dona un anello alla futura moglie (e il pretendete che dona gioielli alla fanciulla desiderata) era, una volta, un trasferimento di ricchezza sostanzioso ed era comune in molte altre culture. In circa il 32% delle culture, solitamente le più moderne, non c’è un trasferimento di ricchezza sostanziale. In circa il 6% delle culture c’è un mutuo scambio di ricchezze considerevoli tra il clan della moglie e del marito. Nel solo 2% delle culture il clan della moglie paga una dote alla nuova coppia.[DW88]
Sfortunatamente alcuni scambi di ricchezza erano ben altro rispetto l’altruismo del dono ereditario o la gioia del matrimonio. Esattamente l’opposto, nel caso dei tributi.
Spoglie di guerra
I tassi di morte violenta tra gli scimpanzè e tra le comunità umane di cacciatori-raccoglitori erano molto più alti rispetto a quelle delle civiltà moderne. Probabilmente questa cosa risale fino all’ultimo antenato comune con le scimmie.
La guerra significa, tra le altre cose, uccisioni, mutilazioni, torture, rapimenti, stupri o l’estorsione di un tributo per evitare tutte queste cose. Quando due tribù vicine non erano in guerra, quasi sempre una stava pagando un tributo all’altra. I tributi servivano anche per stringere alleanze, facendo scalare le economie di guerra. Ma per lo più era una forma di sfruttamento più lucrativa per il vincitore rispetto al continuare la violenza sullo sconfitto.
La vittoria in guerra a volte era seguita da un immediato pagamento da parte degli sconfitti. A volte questa cosa prendeva la forma di saccheggio perpetrato dai vincitori, mentre gli sconfitti provavano disperatamente a nascondere i propri oggetti di valore. Più spesso i tributi venivano dilazionati su base regolare. In questo caso la tripla coincidenza poteva essere evitata dal pagamento pianificato in prodotti agricoli, che facessero combaciare la perduta capacità della tribù sconfitta di fornire un bene o un servizio con la domanda del bene o servizio da parte dei vincitori. Comunque, pur con questa soluzione, la moneta primitiva poteva fornire una via migliore: un comune mezzo di scambio che semplificasse i termini di pagamento; un’azione fondamentale per un’era dove i termini dell’accordo non potevano essere scritti ma dovevano essere mandati a memoria. In alcuni casi, come per i wampum usati nella confederazione Irochese, gli oggetti da collezione fungevano anche da primitivi dispositivi di memoria che, sebbene non potessero registrare letteralmente il trattato, potevano essere usati per richiamarne alla memoria i termini. Per i vincitori gli oggetti collezionabili rappresentavano una via per raccogliere tributi in equilibrio sulla curva di Laffer. Per gli sconfitti, seppellire gli oggetti di valore, poteva essere un modo per far sottostimare le proprie ricchezze e quindi far abbassare le richieste dei vincitori. Nascondere gli oggetti collezionabili era anche un’assicurazione contro gli esattori troppo zelanti. Molte ricchezze delle società primitive sono sfuggite agli occhi di missionari o antropologi grazie alla loro intrinseca facilità di celamento. Solo l’archeologia ha potuto rivelare l’esistenza di queste ricchezze nascoste.
Seppellire le cose e altre strategie simili, sottoponevano agli esattori di tributi gli stessi problemi che ora affliggono gli esattori delle tasse: stimare quanta ricchezza poter estrarre. Misurare il valore è un grande problema in molti tipi di transazione, ma mai quanto nell’esazione di tasse e tributi. Nel fare questi conti molto difficili e contro-intuitivi, e nell’eseguirli in una serie di interrogazioni, ispezioni ed estrazioni, i collettori di tributi riuscivano ad aumentare il loro gettito.
Immagina una tribù che raccoglie tributi da molti vicini che ha precedentemente sconfitto in guerra. Deve per forza stimare quanto può estrarre da ciascuna tribù. Un calcolo errato avrebbe fatto sottostimare la ricchezza di una tribù, mentre avrebbe forzato altre a pagare tributi basati su una ricchezza non effettiva. Risultato: Le tribù troppo colpite avrebbero iniziato ad avvizzire. Le tribù meno colpite sarebbero riuscite a pagare meno tributi di quanto avessero potuto. In entrambi i casi gli esattori, i vittoriosi, avrebbero generato meno gettito di quanto sarebbe stato possibile effettuando controlli migliori. Questa è l’applicazione della curva di Laffer alle ricchezza di una specifica tribù. Seguendo questa curva, applicata alle tasse sul reddito dal brillante economista Arthur Laffer, man mano che le tasse aumentano aumenta il gettito, ma ad una velocità minore rispetto l’aumento delle tasse; a causa dell’aumentata elusione, evasione e soprattutto dallo scoraggiamento dell’iniziativa imprenditoriale. Ad un certo rateo, per queste ragioni, il gettito delle tasse è ottimale. Alzare questo rateo oltre il punto ottimale di Laffer genera una diminuzione, piuttosto che un aumento, del gettito fiscale del governo. Ironicamente, la curva di Laffer è usata dai sostenitori dell’abbassamento delle tasse, anche se è una teoria per ottimizzare il gettito fiscale governativo.
Su una scala più grande, la curva di Laffer potrebbe essere la più importante legge economica della storia della politica. Charles Adams[A90] la usa per spiegare l’ascesa e la caduta degli imperi. I governi di maggior sono stati guidati implicitamente dai loro stessi incentivi: sia il loro desiderio a breve termine di raccogliere gettito fiscale, sia il loro desiderio di successo su lungo termine nei confronti di altri governi. E per fare ciò hanno dovuto ottimizzare la raccolta di tasse seguendo la curva di Laffer. I governi che schiacciano i contribuenti, come l’Unione Sovietica o il tardo Impero Romano, finiscono nella polvere della storia, mentre i governi che hanno un gettito fiscale inferiore al punto ottimale vengono sconfitti dai governi vicini maggiormente finanziati. I governi democratici potrebbero mantenere, storicamente, un alto gettito fiscale tramite mezzi più pacifici rispetto a quanto solitamente accaduto. Sono i primi stati della storia con gettito fiscale così alto che si possono permettere il lusso di spendere molta parte di questa ricchezza in ambiti non militari. La loro imposizione fiscale ha operato più vicina all’ottimo Lafferiano di quanto abbiano fatto quasi tutti i governi della storia dell’uomo. Una teoria alternativa potrebbe sostenere che questo lusso potrebbe essere stato reso possibile dal possesso delle testate nucleari usate come deterrente piuttosto che dalla capacità governativa di estrarre un gettito fiscale così grande. Quando applichiamo la curva di Laffer per esaminare l’impatto di tributi troppo esosi alle varie tribù, possiamo concludere che il desiderio di ottimizzare il gettito genera, nei vincenti, la volontà di misurare accuratamente gli introiti e le ricchezze degli sconfitti. Misurare il valore è cruciale per evitare l’incentivo dei contribuenti a nascondere le ricchezze, fuggire altrove o combattere gli esattori. I contribuenti possono mentire (e spesso lo fanno) circa le loro ricchezze in molti modi, ad esempio nascondendo i propri oggetti di valore. La raccolta di tributi è un gioco di misure e pesi con incentivi disallineati.
Con gli oggetti collezionabili, un esattore può richiedere tributi in un momento strategicamente ottimale, invece che dover sottostare alla disponibilità del contribuente o alle necessità impellenti. I vincitori possono poi scegliere quanto spendere la loro ricchezza piuttosto che doverla consumare seduta stante all’atto dell’esazione. Molto dopo, all’alba della storia, nel 700 A.C., sebbene il commercio fosse ampiamente diffuso, la moneta aveva ancora la forma di oggetto da collezione: fatto di metalli preziosi, ma in sostanza molto simile alla proto-moneta usata nel Paleolitico. Infatti per tutti quei secoli (dal Paleolitico all’Età del Ferro) gli oggetti collezionabili non ebbero un valore o una dimensione standard. Tutto questo fu cambiato da una civiltà di lingua greca di stanza in Anatolia (l’odierna Turchia), i Lidi. I re dei Liri furono i primi coniatori di moneta che archeologici e storici abbiano registrato.
Da quel momento in poi furono le zecche governative (che si assegnavano il monopolio) più che quelle private ad essere i maggiori fornitori di conio. Perché la coniazione non fu dominata dagli interessi privati, come invece accadde per le proto-banche, che già esistevano al tempo di quelle economie di mercato quasi libero? La spiegazione migliore per il dominio governativo sulla coniazione è stata che solo i governi potevano garantire misure anti contraffazione. Ma non è una risposta soddisfacente poiché avrebbero potuto garantire le stesse misure per le zecche private, come oggi (ma anche allora) garantiscono la difesa dei marchi registrati.
Era molto più facile stimare il valore di una moneta rispetto ad un oggetto collezionabile, specialmente nelle transazioni di basso valore. Con le monete si potevano fare molti più scambi rispetto al baratto, infatti molti tipi di commercio a basso valore divennero possibili poiché vennero abbattuti i costi transazionali. Gli oggetti da collezione erano moneta di scarsa velocità, usati in pochi scambi ma di alto valore. La coniazione creò una moneta ad alta velocità, che facilitò un gran numero di scambi di basso valore.
Dato per assunto quanto abbiamo detto circa i benefici che la proto-moneta portava agli esattori di tasse e tributi, ma anche l’importanza fondamentale del problema della misurazione del valore in questo tipo di esazioni, non sorprende che gli esattori di tasse, specificatamente i re di Lidia, fossero i maggiori coniatori di moneta. Il re, derivando il suo guadagno dall’esazione delle tasse, aveva un grande incentivo nel misurare con precisione il valore della ricchezza posseduta o scambiata dai contribuenti. Il fatto che il commercio trasse beneficio dalla coniazione e da una più facile valutazione degli scambi, creando così qualcosa di molto simile ad un mercato efficiente, e permettendo agli individui di fare scambi su una scala molto più ampia, fu un fortuito effetto collaterale. Le maggiori ricchezze che fluivano nei mercati, ora disponibili per essere tassate, fecero schizzare i guadagni del re molto oltre il normale effetto della curva di Laffer riguardo la riduzione della errata misurazione delle fonti di ricchezza tassabili.
Questa combinazione tra migliore esazione delle tasse e mercati più efficienti significò un enorme balzo in avanti nell’ammontare del gettito fiscale. Questi esattori di tasse trovarono, sostanzialmente, la loro miniera d’oro e la ricchezza dei re di Lidia, Mida, Creso e Gige è celebrata ancora oggi.
Qualche secolo dopo il re greco Alessandro Magno conquistò Egitto, Persia e gran parte dell’India, finanziando le sue spettacolari conquiste saccheggiando i templi egiziani e persiani, pieni di oggetti di valore a bassa velocità transazionale e fondendoli in moneta ad alta velocità. Economie di mercato molto più efficienti e più grandi, così come una esazione delle tasse più efficace, vennero di conseguenza.
Il pagamento di tributi non formava di per sé stesso un circolo chiuso di oggetti collezionabili. Essi avevano valore solo se i vincitori potevano usarli per altro: per i matrimoni, per il commercio o come collaterale per dei prestiti. Comunque, i vincitori potevano obbligare gli sconfitti a produrre oggetti da collezione, anche se essi non erano in uso presso gli sconfitti.
Dispute e risarcimenti
I primitivi cacciatori-raccoglitori non avevano le nostre leggi sui crimini penali e civili, ma avevano un mezzo simile per dirimere le dispute, spesso giudicate dai leader della tribù o messe ai voti. Queste dispute coprivano i casi che oggi inseriremmo sotto il cappello delle leggi sui crimini civili e penali. Dirimere le dispute attraverso punizioni o sanzioni pecuniarie sostituì il circolo vizioso delle vendette personali o tribali. Molte culture pre-moderne, dagli Irochesi in America ai popoli germanici pre-cristiani, decisero che il pagamento pecuniario fosse meglio della vendetta. Un prezzo (ad esempio il “weregeld” germanico o il “pagamento del sangue” degli Irochesi) era assegnato ad ogni offesa possibile, dal furto di basso valore allo stupro e fino all’omicidio. Dove la moneta era disponibile, veniva usata per effettuare il pagamento. Nelle popolazioni dedite alla pastorizia veniva usato il bestiame. In ogni caso il pagamento con oggetti collezionabili era il rimedio più usato per saldare le pene pecuniarie.
Il risarcimento del danno nelle controversie o nei contenziosi portava allo stesso problema della tripla coincidenza di evento, disponibilità e domanda che si verificava per i matrimoni, le eredità e i tributi. Il giudizio sul caso doveva coincidere con la possibilità del querelato di pagare i danni tanto quanto l’opportunità e il desiderio del querelante di trarre beneficio da essi. Se il risarcimento era un oggetto di consumo di cui il querelante era già pieno, il risarcimento serviva comunque come punizione ma non avrebbe soddisfatto la vittima e ciò non avrebbe interrotto il ciclo della vendetta. Quindi possiamo notare il valore aggiunto portato dagli oggetti da collezione, cioè rendere possibile chiudere una disputa con un risarcimento e interrompere il ciclo della vendetta.
Però il risarcimento non avrebbe formato un anello chiuso se i pagamenti fossero serviti per eliminare totalmente la vendetta. Quindi, se i pagamenti non interrompevano totalmente le vendette, potevano formare un cerchio chiuso seguendo il cerchio delle rappresaglie. Per questa ragione, è possibile che questa convenzione avesse raggiunto un equilibrio nel momento in cui riuscì a ridurre ma non eliminare del tutto la vendetta, fino all’avvento di connessioni commerciali più dense.
Attributi degli oggetti da collezione
Dal momento che gli umani si sono evoluti in piccoli, ampiamente autosufficienti e mutualmente antagonisti gruppi, l’uso di oggetti da collezione per ridurre la necessità di tracciamento mnemonico dei favori, e per rendere possibile le altre istituzioni umane di trasferimento di ricchezza che abbiamo spiegato, è stato molto più importante rispetto al risolvere il problema dello scalare il baratto per gran parte della storia dell’umanità. Infatti gli oggetti da collezione fornirono un miglioramento importantissimo nelle azioni di altruismo reciproco, permettendo agli umani di cooperare in modi impraticabili per le altre specie. Per essi l’altruismo reciproco è severamente limitato e menomato dalla necessità di essere mandato a memoria. Anche altre specie hanno cervelli di grandi dimensioni, costruiscono ripari o producono e utilizzano strumenti ma nessun’altra specie ha migliorato così tanto il funzionamento dell’altruismo reciproco. Le prove testimoniano che questa nuova tendenza maturò circa 40.000 anni fa.
Menger chiama questa prima moneta un “bene intermedio”; in questo saggio breve abbiamo usato il termine di oggetto da collezione. Un artefatto utile per altre cose, come ad esempio tagliare le carni, poteva essere usato come oggetto da collezione. Comunque, quando la consuetudine del commercio divenne importante, i beni da collezione iniziarono ad essere fabbricati per le sole loro proprietà, senza secondi fini. Quali sono queste proprietà? Affinché un bene fosse scelto come oggetto da collezione, avrebbe dovuto avere quantomeno le seguenti qualità:
- Minor probabilità di essere accidentalmente perso o rubato. Per gran parte della storia questo ha significato oggetti che potevano essere indossati e facilmente nascosti.
- Difficile da falsificare. Prodotti che siano costosissimi da replicare, quindi considerati di valore, come spiegheremo di seguito.
- Che questo valore fosse facile da stimare con semplici osservazioni. Queste osservazioni sono più affidabili tanto più sono economiche.
Tutti gli esseri umani sono fortemente motivati a collezionare oggetti che meglio si adattano a queste caratteristiche. Alcuni di questi motivi potrebbero risiedere in istinti geneticamente programmati. Questi oggetti sono collezionati per il puro piacere di farlo (non per particolari ed esplicite buone ragioni) e questo piacere è pressoché universale. Una delle ragioni più istintive è lil decoro. Secondo la dottoressa Mary C. Stiner, archeologa all’università dell’Arizona, “Ornarsi è un’attività diffusa in tutte le culture umane.[W02] Per uno psicologo evoluzionista, un comportamento simile (che ha delle buone spiegazioni in termini di selezione naturale, ma non ha altre ragioni se non il piacere) è un ottimo candidato per essere un piacere geneticamente evoluto che determina un comportamento. Questo comportamento è, se questo breve saggio non sbaglia, l’istinto umano di collezionare oggetti rari, oggetti d’arte e specialmente gioielli.
Il punto 2 richiede ulteriori spiegazioni. A prima vista, la produzione di un bene solo perché costoso sembra uno spreco. Ad ogni modo, il bene difficile da riprodurre acquista valore ad ogni scambio. Gran parte del costo viene recuperato ogni volta che una transazione è resa possibile o resa meno onerosa. Il costo, all’inizio un mero spreco, è ammortizzato su molte transazioni. Il valore monetario dei metalli preziosi è basato su questo principio. E’ applicabile anche agli oggetti da collezione, che sono valutati in base alla loro rarità e alla minor facilità di riproduzione. È applicabile anche laddove le abilità o lo speciale lavorio umano sono un valore aggiunto del prodotto, come accade nel caso dell’arte
Non abbiamo mai scoperto o costruito un prodotto che abbia contemporaneamente tutte queste tre caratteristiche. Gli oggetti d’arte e collezionabili (nel senso moderno del termine, non nell’uso più tecnico fatto in questo saggio) ottimizzano il punto 2 ma non il punto 1 e il punto 3. Le collane di perline d’osso soddisfano il punto 1 ma non il punto 2 o il punto 3. I gioielli, primariamente creati a partire dalle più rare e belle conchiglie, ma in molte culture fatti di metalli preziosi, si avvicinano a soddisfare tutte e tre le caratteristiche. Non è una coincidenza che i gioielli fatti di metalli preziosi abbiano spesso la forma di piccoli anelli o catenine, permettendo così di essere saggiati facilmente. Il conio fu un ulteriore miglioria: introducendo peso e marchiature standardizzate ridusse enormemente il costo di piccole transazioni fatte con metalli preziosi. Il conio fu un passo avanti dell’evoluzione degli oggetti da collezione.
L’arte mobile creata dagli uomini del paleolitico, (piccole statuette e simili) aveva anch’essa queste caratteristiche. Infatti, gli uomini del paleolitico fabbricavano ben pochi strumenti che non avessero secondi fini o che condividessero le caratteristiche ai punti 1 e 3.
Ci sono molti interessanti esempi di inutili (o quantomeno non utilizzati) oggetti di selce fabbricati dagli homo sapiens. Abbiamo già menzionato la selce della cultura Clovis. Culiffe[C94] ci porta l’esempio di un ritrovamento di centinaia di oggetti di selce risalenti al Mesolitico, perfettamente fabbricati ma che, grazie ad una analisi micrografica, risultano non essere mai stati usati per tagliare.
Precedendo i gioielli, gli oggetti di selce molto probabilmente furono la primaria tipologia di oggetti collezionabili dotati di quella specifica destinazione d’uso. Infatti i primi oggetti collezionabili di selce potrebbero essere stati fabbricati inizialmente per il taglio. Il loro valore aggiunto come mezzo di scambio fu un risultato fortuito che permise la nascita delle consuetudini discusse in questo saggio. Queste consuetudini, a loro volta, hanno motivato la manifattura di oggetti da collezione con quella speciale destinazione d’uso, in un circolo evolutivo che si auto-alimenta.
Durante il Neolitico, in gran parte del Medio Oriente e dell’Europa, alcuni tipi di gioielli divennero standardizzati: questo perché dimensioni standard e facilità di saggiamento erano spesso considerate caratteristiche più importanti rispetto alla mera bellezza. Nelle aree commerciali la quantità di questi gioielli standardizzati eccedeva di gran lunga la quantità di gioielli tradizionali. Questo era un passaggio intermedio tra il gioiello decorativo e la moneta, man mano che sempre più oggetti da collezione prendevano una forma fungibile. Verso il 700 a.C. i re dei Lidi cominciarono a battere moneta, come descritto sopra. La purezza dei metalli preziosi di peso standard ora poteva essere saggiata direttamente all’atto scambio, sia dai riceventi sia dagli esattori attraverso il marchio stampigliato. Fidandosi del marchio della zecca anziché tagliare il gioiello per verificarne la purezza gli scambi divennero molto più fluidi
Non è una coincidenza che gli oggetti da collezione condividano le stesse caratteristiche dei metalli preziosi, delle monete coniate e dei beni rifugio che hanno sempre sostenuto le valute non fiat. Le monete hanno fatto proprie queste caratteristiche in una forma più pura rispetto a tutti gli oggetti da collezione usati dagli uomini durante la preistoria.
Una novità del XX secolo fu l’emissione di valuta fiat da parte dei governi (“fiat” significa valuta non sostenuta da nessun bene rifugio, a differenza delle valute dei secoli precedenti, sostenute da oro o argento). Benché utilissime come mezzo di scambio, le valute fiat si sono dimostrate una pessima riserva di valore. L’inflazione ha distrutto molti risparmiatori. Non è una coincidenza che il mercato di oggetti unici o di pezzi d’arte (che solitamente condividono le caratteristiche dei collezionabili descritte sopra) abbia avuto una rinascita nel corso dell’ultimo secolo. Uno dei nostri mercati più importanti, Ebay, è nato attorno alla compravendita di questi oggetti dalle primordiali qualità economiche. Il mercato degli oggetti da collezione è più fiorente che mai, anche se la frazione dei nostri risparmi investiti in esso è più piccola rispetto a quando gli oggetti da collezione divennero centrali per il successo evolutivo. Gli oggetti da collezione soddisfano sia i nostri impulsi istintivi sia la necessità di essere riserva di valore
Conclusioni
Molte transazioni di valore, univoche o biunivoche, volontarie o estorte, affrontano costi transazionali. In uno scambio volontario entrambe le parti hanno un guadagno; un dono veramente libero da vincoli è un atto di puro altruismo famigliare. Queste transazioni generano valore per una o entrambe le parti tanto quanto l’atto fisico di creare qualcosa. I tributi danno beneficio al vincitore, le condanne pecuniarie possono prevenire ulteriore violenza (tanto quanto danno beneficio alla vittima del danno). L’eredità ha reso gli esseri umani i primi animali a trasmettere ricchezza alla successiva generazione di familiari. Questi cimeli possono, a seconda del caso, essere usati come collaterali, come assicurazione contro la fame o per l’organizzazione di matrimoni. Il fatto che i costi di queste transazioni (i costi transazionali) siano bassi a sufficienza per permettere la transazione è un’altra questione. Resta il fatto che gli oggetti da collezione sono stati fondamentali nel rendere possibili questi tipo di transazioni per la prima volta nella storia dell’homo sapiens.
Gli oggetti collezionabili hanno fornito, insieme ai nostri cervelli più grandi e insieme al linguaggio, soluzioni al Dilemma del Prigioniero che, storicamente, ha sempre impedito a tutti gli altri animali di cooperare attraverso reciprocità differite nel tempo con individui non imparentati. Una società reputazionale può soffrire di due problemi maggiori: errori di valutazione su quale persona abbia fatto cosa ed errori nel valutare il beneficio o il danno causato dalle
azioni degli altri. Tra clan (il più piccolo e immediato gruppo famigliare, inteso anche come famiglia estesa) i nostri grandi cervelli potevano minimizzare questi problemi, così che la reputazione pubblica e le sanzioni coercitive superassero le limitate motivazioni fornite dall’abilità della controparte di cooperare o non cooperare in futuro come miglior modo per far rispettare la reciprocità differita. Era molto probabile che sia l*’homo sapiens* sia l’homo neanderthalis, che avevano il cervello di dimensioni simili, tenessero traccia mnemonica di favori fatti o ricevuti da altri membri del clan. L’uso di oggetti collezionabili in questi piccoli clan famigliari potrebbe essere stato minimo. Tra clan diversi veniva usata sia la memoria sia gli oggetti collezionabili. Tra tribù diverse, gli oggetti collezionabili rimpiazzarono totalmente la reputazione come garante di reciprocità. Nonostante ciò la violenza rimase primaria nel far rispettare i diritti, benché avesse costi transazionali così alti da essere ostacolo per gran parte degli scambi.
Per essere utile come riserva di valore un oggetto collezionabile doveva essere inserito in almeno una consuetudine commerciale ad un anello chiuso, così che il costo di estrazione o fabbricazione fosse ammortizzato nelle varie transazioni. Di più, un collezionabile non era solo un oggetto decorativo. Doveva avere anche certi attributi di funzionalità, come la sicurezza di poter essere indossato sulla persona, la compattezza per essere nascosto o seppellito e un alto costo di riproduzione. Questo alto costo doveva essere facilmente verificabile dal ricevente: venivano usati metodi simili a quelli che oggi usano i collezionisti per le loro valutazioni.
Le teorie presentate in questo saggio breve possono essere messe alla prova guardando a queste caratteristiche (presenti o assenti) negli oggetti “di valore” spesso scambiati in queste culture, esaminando il guadagno economico di ogni ciclo in cui questi oggetti erano coinvolti e osservando la preferenza per questo tipo di oggetti tra una gran varietà di culture diverse, anche moderne.
Con la tecnologia della cooperazione, gli esseri umani sono diventati il predatore più temibile che il pianeta abbia mai visto. Si sono adattati ai cambiamenti climatici, mentre dozzine e dozzine di loro grandi prede (a causa del cambiamento climatico e della caccia) sono state portate all’estinzione. Oggi, la maggior parte degli animali da preda teme i proiettili; un adattamento causato da una singola specie di predatori. Anche le culture basate più sulla raccolta che sulla caccia hanno tratto enormi vantaggi dalla cooperazione differita. Ne è seguita un’esplosione demografica: l*‘homo sapiens sapiens* è stato in grado di popolare gran parte del pianeta a una densità oltre dieci volte superiore rispetto quella dell’homo sapiens neanderthalensis, nonostante avesse ossa più deboli e dimensioni del cervello simili. Gran parte di questo aumento demografico può essere attribuito alle istituzioni sociali rese possibili dal trasferimento di ricchezza e dal linguaggio, ovvero: commercio, matrimonio, eredità, tributi, garanzie e la capacità di valutare i danni in termini economici per smorzare i cicli di vendetta.
Il denaro primitivo non era come il denaro moderno che conosciamo oggi. Svolgeva alcune delle funzioni del denaro odierno, ma la sua forma era quella di cimeli, gioielli e altri oggetti da collezione. L’uso di queste pratiche è così antico che il desiderio di conoscere, collezionare, creare, esporre, valutare, conservare attentamente e scambiare oggetti da collezione è una costante umana; in un certo senso un istinto. Questa costellazione di desideri umani potrebbe essere chiamata “istinto al collezionismo”. La ricerca dei materiali grezzi, come conchiglie e denti, e la produzione di oggetti da collezione, occupavano una considerevole parte del tempo degli esseri umani del passato, proprio come molti esseri umani moderni dedicano risorse considerevoli a queste attività considerandole hobby. Il risultato, per i nostri predecessori, fu la creazione della prima forma di valore incorporato in oggetti che andasse oltre la loro utilità concreta, ovvero, la prima forma di denaro in senso moderno.
Citazioni
- [A90] Adams, Charles, For Good and Evil: The Impact of Taxes on Civilization ↩
- [A98] Tim Appenzeller, "Art: Evolution or Revolution?", Science 282(Nov 20, 1998), p. 1452. See also the home page of Stanley Ambrose ↩ ↩
- [B04] The Blombos Cave Project ↩ ↩
- [C94] Culiffe, Barry, ed., The Oxford Illustrated History of Prehistoric Europe, Oxford University Press 1994. ↩ ↩ ↩ ↩ ↩ ↩
- [D89] Dawkins, Richard, The Selfish Gene, Oxford University Press 1989. ↩ ↩ ↩
- [D94] Davies, Glyn, A History of Money, From Ancient Times to the Present Day, University of Wales Press 1994. ↩ ↩ ↩ ↩
- [DW88] Daly, Martin and Wilson, Margo, Homicide, New York: Aldine (1998). ↩ ↩
- [G95] Gilead, I. 1995. "The Foragers of the Upper Paleolithic Period," in Archaeology and Society in the Holy Land. Ed. by T. E. Levy. New York, Facts on File. ↩
- [G01] [ref: http://www-geology.ucdavis.edu/~GEL115/115CH1.html] ↩
- [Gr01] Graeber, David, Towards an Anthropological Theory of Value, Palgrave 2001.
- [I98] Ifrah, Georges, The Universal History of Numbers, John Wiley & Sons 1998, pg. 73.
- [K99] Kohn, M. and Mithen, S. "Handaxes: Products of sexual selection?", Antiquity, 73, 518-526.
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- [L94] Landa, Janet, Trust, Ethnicity, and Identity: Beyond the New Institutional Economics of Ethnic Trading Networks, Contract Law, and Gift-Exchange, The University of Michigan Press, second edition, 1998. ↩ ↩ ↩
- [M1892] Menger, Carl, "On the Origins of Money" Economic Journal, volume 2,(1892) p. 239-55. translated by C.A. Foley, at http://www.socsci.mcmaster.ca/~econ/ugcm/3ll3/menger/money.txt ↩
- [M50] Mauss, Marcel, The Gift, 1950, English translation by W.D. Halls, W.W. Norton 1990. ↩
- [M93] (Morse 1993) via http://www.wac.uct.ac.za/wac4/symposia/papers/s095wht1.pdf ↩
- [R96] Riddley, Matt, The Origins of Virtue, Viking 1996.
- [T01] Taylor, Alan, American Colonies – The Settling of North America, Penguin 2001. ↩ ↩
- [P89] Plattner, Stuart, Economic Anthropology, Stanford University Press 1989.
- [W77] Wiessner, P. 1977. Hxaro: a regional system at reciprocity for reducing risk among the !Kung San. Unpublished PhD thesis: University of Michigan. ↩
- [W82] Wiessner, P. 1982. Risk, reciprocity and social influences on !Kung San economies. In: Leacock, H. R. & Lee, R.B. (eds) Politics and history in band societies: 61-84. London: Cambridge University Press.
- [W95] White, Randall, "Ivory Personal Ornaments of Aurignacian Age: Technological, Social and Symbolic Perspectives", Institute For Ice Age Studies, http://www.insticeagestudies.com/library/Ivory/Ivorypersonal.html ↩
- [W97] White, Randall, "From Materials To Meaning", Institute For Ice Age Studies, http://www.insticeagestudies.com/library/materialstomeaning/index.html ↩
- [W98] Winterhalder, Bruce, "Intra-Group Resource Transfers: Comparative Evidence, Models, and Implications for Human Evolution", http://www.unc.edu/depts/ecology/winterweb/intra_group.html ↩
- [W02] Wilford, John, "Debate is Fueled on When Humans Became Human", New York Times, February 26th, 2002 ↩
Ringraziamenti
I miei ringraziamenti a Jerome Barkow, Andrew Odlyzko, Bruce Smith, K. Eric Drexler, Markus Krummenacker, Mark Wiley, Norm Hardy e altri per i loro commenti penetranti.
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